LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA: UNA SCELTA DOVEROSA

di Claudio di Macco

Direttore Centrale – Autorità per l’energia elettrica e il gas


Modesta, di facciata e, in alcuni casi, ancora inesistente è, oggi, l’attenzione che le imprese prestano alla tutela dell’ambiente, alle condizioni di lavoro e, più in generale, al sociale.

Ciò accade malgrado il dibattito sulla dimensione etica dell’impresa, oltre a quella economica e legale, avviato negli anni trenta del secolo scorso, abbia valorizzato sempre più nella cultura occidentale quest’aspetto, ed oggi non esista più chi non sostenga apertamente che le imprese debbano, nel loro operare, attenersi anche a principi etici e sociali.

Non sempre però a tali affermazioni corrispondono azioni reali, ma, al contrario, il comportamento del management delle stesse imprese e le iniziative intraprese sono spesso volte a perseguire solo il maggior profitto per gli azionisti, trascurando il bene comune e finendo anche per danneggiarlo.

La forte spinta alla competizione, la ricerca di nuovi mercati, la riduzione al minimo dei costi, in particolare di quelli di produzione e di commercializzazione, tutti aspetti che caratterizzano questa epoca di globalizzazione, determinano spesso un utilizzo insensato e intensivo delle risorse naturali disponibili, di uomini e mezzi. E gli effetti negativi della globalizzazione così intesa si amplificano in una società in cui è sempre meno rispettata la dignità della persona, considerata soltanto un mezzo per raggiungere un determinato fine o particolari interessi.

Negli ultimi decenni la condotta pro-dividendo di alcune multinazionali ha determinato danni ingentissimi, non solo alle economie di alcuni paesi, ma anche alle persone, intese come singole e come comunità, lasciando ferite profonde e non rimarginabili.

I disastri ambientali sempre più numerosi in ogni parte del mondo pregiudicano l’intero sistema economico impedendo l’accesso, la disponibilità e la gestione delle risorse primarie. La tutela dell’ambiente e la lotta al cambiamento climatico devono invece diventare sempre di più strumenti di politica aziendale: i manager dovranno impegnarsi ad utilizzare poteri e risorse loro affidati per preservare l’ambiente in cui l’uomo vive e lavora e per evitare il formarsi di condizioni di marginalità sociale.

La società e l’economia sono oggi chiamate con urgenza ad una “conversione”, a dare il giusto posto nella loro attività alla persona, a ciascun “portatore di interessi” verso l’impresa e quindi a dipendenti, clienti, fornitori e comunità locali. E’ questa la richiesta che con sempre maggior intensità e frequenza parte dalla gente e dalle Associazioni per i diritti umani e che la Chiesa ha posto a fondamento della propria dottrina sociale.

Quando si parla di dimensione etica dell’impresa si può rilevare come negli ultimi anni sempre maggiori spinte premano per la definizione di condotte sociali dell’impresa: queste tematiche, di rispetto dei diritti dei lavoratori, di tutela dell’ambiente e di impegno nel sociale, sono oggi enucleate nella c.d. Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI). La sua applicazione, così come avviene in altri paesi, può rappresentare per l’Italia uno degli strumenti, certamente non il solo, che muovono nella direzione auspicata. Dall’esame delle iniziative intraprese sinora in Italia ed in alcuni paesi esteri è possibile avanzare alcune proposte.

Il recente dibattito internazionale sulla RSI


Nel 1999, nell’ambito dei lavori del World Economic Forum e su iniziativa del Segretario Generale delle Nazioni Unite, è stato redatto il Global Compact che ha riunito in un unico testo, concordato con le imprese, i principi fondamentali relativi ai

diritti dell’uomo come persona e di questo in relazione al lavoro. Si è trattato di un primo passo tangibile nell’individuazione di principi universali in materia di diritti umani, lavoro, ambiente e lotta alla corruzione; questi principi, è l’auspicio del Global Contact, devono divenire parte integrante della strategia e delle operazioni delle imprese. Uniformandosi ad essi le aziende possono evitare che il perseguimento del solo profitto determini danni ingenti a tutti gli stakeholders, compresi gli azionisti.

Esempi dei pesantissimi danni provocati da una ricerca insensata del profitto ad ogni costo, a scapito del bene comune, sono gli scandali di Enron, Worldcom, Nike, e di tante altre società, grandi e piccole.

Nel 2000 il Consiglio di Lisbona ha rivolto un appello al senso di responsabilità sociale delle imprese e, nel 2001, la Commissione UE con il Libro Verde Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese” ed ancora nel 2002, con la comunicazione “Responsabilità sociale delle imprese: un contributo delle imprese allo sviluppo sostenibile”, ha manifestato un impegno serio verso questa tematica, invitando gli stati membri ad adottare politiche di sostegno alle buone pratiche poste in essere dalle imprese nella responsabilità sociale.

L’attenzione della Commissione si è rivolta anche alle imprese di media e piccola dimensione, che dovrebbero essere maggiormente coinvolte in queste pratiche.

Di grande importanza ed utilità è anche la definizione, per la prima volta data in maniera organica nel Libro Verde, della RSI come “l'integrazione su base volontaria dei problemi sociali ed ambientali delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”.

Ciò in accordo con la strategia dell’UE secondo cui la crescita dell’economia, la coesione sociale e la tutela ambientale vanno di pari passo.

La RSI non deve essere considerata dall’impresa come un costo, ma come un vero e proprio investimento nel capitale umano, nell’ambiente e nelle relazioni con tutti gli stakeholders. Il Libro Verde individua per la RSI una dimensione interna ed una esterna al perimetro dell’impresa. La prima riguarda in particolare la gestione delle risorse umane, la sicurezza del lavoro, l’ambiente di lavoro, la salute dei lavoratori, il coinvolgimento e la partecipazione dei lavoratori alle trasformazioni aziendali.

La dimensione esterna coinvolge invece le comunità locali, comprese le istituzioni pubbliche e le associazioni rappresentative dei lavoratori e delle imprese, i partner commerciali, i fornitori, i clienti, i consumatori e le loro associazioni rappresentative.


RSI: alcune esperienze nazionali e l’Italia


La Comunità Europea pubblica sul proprio sito internet1 un dettagliato resoconto delle iniziative nei vari paesi europei con il "Corporate Social Responsibility National public policies in the European Union Employment, Social Affairs and Equal Opportunities European Commission".

La sintesi che segue sullo stato di avanzamento della RSI in alcuni paesi europei , negli USA ed in Italia può contribuire a far meglio conoscere l’utilità di questo strumento.

UK

Il Regno Unito rappresenta sicuramente il paese europeo in cui il concetto di responsabilità sociale permea maggiormente le istituzioni e il tessuto imprenditoriale.

Nel marzo del 2000 il Governo inglese ha istituito il Ministero per la Corporate Social Responsibility (CSR) e dal 2001 pubblica report sulla CSR che delineano il proprio approccio politico alla responsabilità sociale. I report annuali sono strumenti per fare il punto sulle iniziative sostenute e sui risultati ottenuti da ogni Dipartimento governativo, dall’economia agli esteri, dalla salute pubblica ai trasporti, tutti impegnati in progetti in materia di CSR. Tutte le iniziative e le politiche governative volte a favorire la diffusione della CSR sono consultabili nel sito internet governativo2.

Anche legislativamente il Regno Unito è il paese in cui il concetto di CSR ha maggiormente pervaso la recente codificazione in materia di diritto societario con il Companies Act del novembre 2006, che propone il principio del “valore dell’azionista illuminato”: quest’ultimo si aspetta che nel lungo periodo il successo sostenibile dell’impresa dipenda dall’attenzione che questa volge al rispetto dell’ambiente, al trattamento dei propri dipendenti etc.

Inoltre il governo offre incentivi fiscali (Community investment tax relief) che incoraggiano gli investimenti privati attraverso Community Development Finance Istututions (CDFIs) e favoriscono la creazione di imprese no-profit o profit presso comunità svantaggiate. Inoltre la responsabilità sociale è all’avanguardia in materia di fondi pensioni “sostenibili” già presenti in questo paese da alcuni anni.


Francia

Nel 2006 è stata costituita una commissione interministeriale alla scopo di disporre di una strategia di sviluppo sostenibile nazionale che allineasse la Francia alle previsioni europee. Nel 2005 è stato per la prima volta codificato il fair trade, quale sviluppo sostenibile negli scambi commerciali tra paesi sviluppati e produttori svantaggiati nei paesi in via di sviluppo.

E’ stata creata un autorità indipendente (Halde)3 con lo scopo di promuovere, punire e combattere le discriminazioni sul lavoro; questa fornisce indicazioni sui codici etici per i settori pubblici e privati e stabilisce condotte di RSI.

Nel marzo 2007, in conformità con le direttive europee, il governo francese ha adottato il National Action Plan for Sustainable Public Procurement che prevede di dare la precedenza alle società fornitrici di beni e servizi socialmente responsabili nell’assegnazione di appalti pubblici.


Spagna

Nel marzo del 2005 il Governo spagnolo ha creato una Commissione tecnica di esperti sulla RSI in seno al Ministero dell’Occupazione e degli Affari Sociali, ed ha istituito un gruppo interministeriale sullo sviluppo sostenibile. Già dall’anno precedente tutte le società spagnole quotate in borsa pubblicavano informazioni sulle loro politiche di RSI e dati sull’impatto ambientale delle loro attività. Nel 2006 il parlamento ha approvato la legge 43 sulla qualità del lavoro e l’anno successivo l’Organic Act 3/2007 ad implementazione delle direttive europee contro la discriminazione di genere sul posto di lavoro. Sempre nel 2007 viene varata la nuova legge sui contratti pubblici che include clausole di salvaguardia sociale ed ambientale favorendo nelle gare pubbliche le imprese socialmente responsabili.


Stati Uniti

Gli Stati Uniti, pur non disponendo di un coordinamento a livello federale per la promozione della RSI, la sostengono con 12 agenzie governative che portano avanti oltre 50 programmi. Questi programmi, attivati da diversi Dipartimenti del governo, hanno lo scopo di incentivare le imprese ad un’attività socialmente responsabile, favorendone i comportamenti virtuosi.

Grande attenzione è stata rivolta al rispetto dei diritti umani e degli standard lavorativi riferiti, in particolare, all’intensa attività manifatturiera svolta dalle multinazionali statunitensi nei paesi in via di sviluppo nella produzione di beni per i mercati occidentali. Il Dipartimento del commercio statunitense, ad esempio, ha formato in RSI i propri funzionari del servizio commerciale per sostenere, informare e promuovere una gestione responsabile delle imprese, volta al rispetto dei diritti umani e della sicurezza sul lavoro e alla promozione di programmi per l’eliminazione dello sfruttamento lavorativo (minori, donne, condizioni inaccettabili di lavoro, etc.).


Italia

In Italia esistono norme che prevedono una revisione delle strutture decisionali ed organizzative delle imprese in un ambito di RSI quali, ad esempio, quelle relative al processo decisionale, e riguardano società quotate e non.

Esempi rilevanti sono il codice di autodisciplina delle società quotate (codice Preda),e il decreto legislativo 231/91 di riforma del diritto societario che introduce un sistema più complesso e variegato di governance societaria, oltre ad una serie importante di iniziative e di proposte. Tra queste, quelle promosse dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale ed una proposta di legge di iniziativa parlamentare per la promozione e lo sviluppo della RSI che prevede anche la creazione di un’Autorità cui è affidata l’individuazione di indicatori dei comportamenti socialmente responsabili delle imprese.


Sotto l’impulso del Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali ed in collaborazione con INAIL, Unioncamere e l’Università Bocconi, è stata istituita nel 2005 la Fondazione I-CSR con lo scopo di promuovere la RSI attraverso il dialogo tra istituzioni pubbliche e privati, imprese, università e stakeholders.

Gli incentivi a comportamenti socialmente responsabili vengono però esclusivamente da iniziative di carattere regionale: interessante quella legislativa della Regione Umbria che ha istituito un registro d’imprese certificate SA8000 alle quali viene riservato un trattamento preferenziale nelle gare pubbliche, procedure amministrative semplificate, incentivi fiscali, erogazione di fondi per il training del personale alla RSI e per il conseguimento di ulteriori certificazioni.


Il confronto delle politiche di RSI tra l’Italia e gli altri paesi europei esaminati evidenzia però il forte ritardo da noi accumulato in questo decennio e l’assenza delle istituzioni governative e parlamentari. Una presenza positiva in senso promozionale va invece riconosciuta ai poteri locali e alle Università .

Una scelta strategica ed attuale


Nei processi di liberalizzazione dei mercati - in Italia sono in piena evoluzione quelli nei settori dell’energia, dei trasporti, delle telecomunicazione e dei servizi postali- appare necessario che le imprese si confrontino non solo sul piano delle offerte ma anche su quello della RSI, al fine di trovare un corretto rapporto con i clienti e con il territorio in cui svolgono l’attività imprenditoriale.


La RSI migliora infatti la trasparenza delle condizioni contrattuali di accesso ai servizi essenziali, consente l’adeguamento dei comportamenti degli operatori in modo flessibile rispetto ai mutamenti del mercato, promuove la tutela dei consumatori e, in definitiva, favorisce il processo di liberalizzazione.


Si può constatare, soprattutto all’estero, nei paesi dove le politiche sociali sono più avanzate e consolidate, che le imprese che operano in mercati liberalizzati ed hanno adottato comportamenti socialmente responsabili godono di benefici che vanno dalla riduzione dei rischi aziendali (scioperi, cause per danni ambientali e per violazione dei diritti umani, ecc.), ad un aumento dell’efficienza e ad un sensibile miglioramento delle relazioni industriali. In particolare, una migliore e profittevole comunicazione con tutti coloro sui quali ricadono gli effetti dell’attività dell’impresa, un più agevole accesso al finanziamento presso banche e fondi di investimento, una migliore difesa delle scelte aziendali, nonché una più vasta accettazione da parte delle comunità locali.

Quest’ultimo aspetto diventa certamente significativo quando si osservano le difficoltà che le imprese incontrano, non soltanto in Italia, nel localizzare nuove infrastrutture, siano esse centrali termiche, rigassificatori, termovalorizzatori o ferrovie. L’effetto Nimby - not in my backyard - ha assunto per esempio sul territorio italiano, ad alta densità abitativa e ricco di risorse paesaggistiche, artistiche e culturali, caratteristiche tali da precludere importanti investimenti con danno non solo per le imprese ma per l’intera comunità nazionale. Si è visto come questo effetto possa essere mitigato dalla presenza di imprese investitrici che abbiano nella loro storia un sicuro impegno nelle problematiche sociali ed ambientali. Trasparenza nelle iniziative, partecipazione delle comunità locali a tutte le fasi del processo di progettazione e realizzazione dell’opera, dialogo costante con i poteri locali, sono mezzi per superare diverse criticità.

Gli operatori hanno il compito di migliorare qualitativamente la loro offerta di servizi, non solo ai fini del confronto concorrenziale, ma anche a favore della sicurezza e della fruibilità da parte degli utenti finali. Questi ultimi manifestano esigenze di efficienza ed economicità del servizio, ma anche di tutela ambientale, del territorio e del patrimonio naturale, archeologico e culturale. Essi infatti esprimono una coscienza sociale e politica attenta alle necessità del territorio in cui vivono.

Per le imprese la scelta della RSI non deve quindi essere un’opzione di second best, ma del tutto strategica e da integrare con le altre scelte nel core business. Nulla a che vedere con improvvisate o transitorie politiche aziendali rivolte alla solidarietà ed alla beneficenza o anche alla pubblicità ed al marketing. Le scelte di RSI, infatti, non apportano nell’immediato benefici economici, ma hanno un ritorno, anche sulla redditività dell’impresa, apprezzabile nel medio e lungo periodo.

Pertanto le imprese che concretamente intendono promuovere azioni socialmente responsabili, devono innanzitutto valorizzare all’interno questa scelta, formando i manager, rivedendo i modelli organizzativi e decisionali e legittimando l’adozione da parte loro di misure sociali.

Le buone pratiche garantiscono già nel breve periodo il miglioramento delle relazioni con i dipendenti, con le amministrazioni pubbliche, con le organizzazioni sindacali, con la comunità locale e con i consumatori. Il new deal porta ad un aumento dell’efficienza del sistema organizzativo e gestionale e di conseguenza della redditività dell’impresa.


Incentivare la RSI


In quest’ultimo decennio, le iniziative a livello europeo ed internazionale mirate al raggiungimento di obiettivi ‘socialmente responsabili’ sono divenute di maggior attualità non solo tra le grandi imprese, abituate ad operare nei mercati globalizzati, ma anche tra un numero discreto di imprese medie e piccole.

Anche le istituzioni pubbliche hanno mostrato di voler sostenere questa scelta attraverso la diffusione della conoscenza della RSI tra gli imprenditori e la promozione di programmi di informazione e di incentivazione.

Fondi ed istituti di credito internazionali hanno manifestato, a loro volta, l’esigenza di vedere impiegate le risorse finanziarie in progetti di imprese “socialmente responsabili”, e ciò non solo nel caso di multinazionali, che fanno ricorso al capitale diffuso delle borse o dei grandi istituti finanziari, ma anche di imprese con dimensione nazionale e locale.

Nell’ambito finanziario si vedono moltiplicare strumenti di valutazione riconosciuti a livello internazionale (indici, certificazioni, analisi di settore, best practices etc.) che permettono un giudizio, per quanto possibile, imparziale dei comportamenti delle imprese. A Londra con l’FTSE4Good Index, a New York con il Dow Jones Sustainability Index e più recentemente a Francoforte con il DAX Global Sarasin Sustainability Index sono nati i primi indici di borsa per imprese socialmente responsabili.

Le banche considerano il rispetto della RSI un essenziale criterio di giudizio sulla credibilità ed affidabilità delle imprese. In altre parole, un’azienda che non è “socialmente responsabile” rende palese di sottovalutare importanti aspetti del contesto sociale, ambientale ed economico nel quale opera, esponendosi a rischi difficili da gestire nel proseguo della propria attività.

Modesta è oggi in Italia la diffusione della RSI ed ancora lontana appare la soluzione a queste problematiche: scarse sono infatti le iniziative intraprese, soprattutto se si confrontano con quelle promosse in altri paesi europei. Best practices e linee guida per la condotta etico-sociale sono lasciate all’iniziativa volontaria delle singole aziende e messe in pratica, generalmente, da quelle imprese che possono “spendere” per promuovere la loro immagine. E questa condotta è ben diversa da quella di chi opera con responsabilità sociale.

Per la diffusione di questi modelli comportamentali è quindi essenziale che anche in Italia, così come avviene in UK, si prevedano politiche premianti, ad esempio, nel pubblic procurement e facilitazioni fruibili anche da piccole e medie imprese.

Infine appare necessario pervenire, in tempi brevi, superando lo stallo conseguente alla non approvazione della proposta di legge sulla RSI, a definizioni univoche della RSI e di strumenti attuativi, in conformità alle direttive europee, costituendo strumenti di rating sociale sulla base dei quali valutare l’affidabilità delle imprese e rendere possibile il confronto.

Queste misure, opportunamente implementate e soprattutto se sostenute dalle istituzioni, possono innescare nel nostro paese un circolo virtuoso.











1 http://ec.europa.eu/employment_social/soc-dial/csr/index.htm

2 www.csr.gov.uk

3 www.halde.fr