UNA CULTURA AL SERVIZIO DELLA COMUNITÀ

di Marco Valentini1




Non so come cambierà questo Paese in futuro. Io comunque vado in giro ogni giorno camminando su queste mie gambe con la voglia di accarezzare la terra. Perché sulle strade seminate d’amore alla fine sbocciano i fiori”


(Banana Yoshimoto)





In uno dei suoi recenti discorsi2, che hanno segnato con parole di grande saggezza i passaggi più drammatici della crisi tibetana, il quattordicesimo Dalai Lama, Tiensin Gyatso, ha sottolineato come le nostre vite si spoglino di significato quando perdiamo i valori di etica e di giustizia. Con la consueta sapienza, l’autorità spirituale tibetana ha riproposto una questione antica, cioè l’esigenza, per il bene dell’umanità, che i valori di giustizia e di eguaglianza siano posti al servizio della Comunità, con radici solidamente ancorate nell’etica. Proprio perché molte persone deplorano la generale perdita di etica e di moralità del nostro mondo, attribuendo ad essa i numerosi problemi di convivenza, è necessario – ha proseguito il Dalai Lama - promuovere i valori etici, ad iniziare dalla verità e dalla non violenza.

Non sorprende che un simile messaggio, nel bel mezzo di eventi disastrosi per l’identità, la cultura e la storia dei tibetani, sia stato pronunciato da un’autorità spirituale che, pur investita di una grande responsabilità, ha scelto con serenità e fermezza di indicare la strada della necessità dell’etica per conferire al suo popolo speranza di futuro. Lo stesso cristianesimo si caratterizzò fin dall’inizio, come nota Dario Antiseri3 citando le parole di Benedetto Croce, per operare al centro dell’anima, nella coscienza morale, quale dottrina fondata sull’esercizio dell’amore verso il prossimo. Una visione che riguarda le persone, la loro condotta e la loro responsabilità, sintesi di passato, presente e futuro, perché anche attraverso gli uomini passa, nella fede cristiana, il rapporto con Dio. All’importanza del percorso dell’uomo, alludeva, d’altro canto, Mahatma Ghandi, apostolo dell’induismo, quando sottolineava come le religioni seguano strade diverse che tuttavia convergono verso uno stesso punto, destinate a raggiungere la medesima meta.



L’etica come bisogno formativo dell’attuale società


Chiari segnali sulla necessità dell’etica, seppure naturalmente ispirati ad una pluralità di approcci e visioni, sono giunti nel corso dei secoli dalle filosofie, anche quelle improntate ad una visione laica, attenta alle condizioni storiche dell’agire umano. Da Socrate a Platone, fino al novecento, si è snodato infatti un lungo percorso di pensiero, che su quel presupposto di necessità, ha declinato i profili dell’etica su numerosi e diversificati versanti, finendo per influire, articolandone la lettura in specifiche categorie, anche sull’organizzazione politica e, nell’ambito di questa, sulla democrazia, quale forma di Stato e di governo per eccellenza centrata sulle persone e sulla loro cittadinanza, nonchè esplicitamente ispirata a principi etici riassunti nella sistematica valoriale delle Costituzioni.

Visione religiosa e visione laica sono state insomma e sono tuttora i due grandi motori di pensiero della ricerca etica, peraltro meno reciprocamente indipendenti di quanto possa far supporre l’altalenante dialettica dei rapporti tra Stato e Chiesa che abbiamo conosciuto dai libri di storia. La questione, ai nostri fini, per quanto preliminare, è senz’altro interessante, se esaminata con attenzione alla contemporaneità.

Il Trattato di Ausburg del 1555, basato sul principio “cuius regio eius religio ” aveva voluto porre fine, in nome dell’ordine interno, alle guerre di religione, affermando un’identità di religione tra tutti gli abitanti delle medesime terre, con l’effetto non secondario delle migrazioni da uno Stato all’altro e delle persecuzioni religiose all’interno dei singoli Stati4. La questione che si pone oggi, a secoli di distanza e di fronte alla crescente richiesta di un ruolo pubblico per la fede religiosa, è la ricerca di una nuova compatibilità tra l’assolutismo dei valori religiosi e il relativismo della democrazia, in una prospettiva che tenga conto dell’evoluzione sociale, politica ed anche religiosa. Questione senz’altro rilevante – di cui in questa sede ci interessa la dialettica valoriale, piuttosto che la problematica relativa all’istituzionalizzazione - poiché “la domanda di de-privatizzazione della fede religiosa, che emerge dentro le società democratiche occidentali, ha una sua ragion d’essere, una sua legittimità, e l’accoglimento di questa istanza impone una riflessione a tutto campo su religione, società moderna, politica” 5.

Abbiamo ipotizzato questo approccio binario al tema dell’etica, i cui contenuti sono consolidati nella storia secolare del pensiero e possono ovviamente in tale contesto essere solamente sfiorati, per determinare un chiaro punto di partenza che veda al centro la domanda: di quale uomo ci stiamo occupando, di quale necessità?

In altri tempi, la tradizionale distinzione tra etica religiosa ed etica laica avrebbe reso il nostro compito assai più agevole. Posta la necessità dell’etica, e il contenuto valoriale che le appartiene, restava alla libertà dell’individuo operare le sue scelte, ispirare i suoi comportamenti. Tuttavia, si commetterebbe un errore di prospettiva nel ritenere l’insegnamento religioso confinato nella sfera privata, avulso dalla vita civile. Il rapporto tra politica e religione nella sfera pubblica, pur nella pluralità di approcci e visioni che la concreta esperienza ha proposto, ha assunto infatti una crescente visibilità – si pensi al profondo dibattito circa l’opportunità di inserire nel progetto di Costituzione europea il riferimento alle radici cristiane del vecchio continente - e questo va considerato quale elemento di riflessione. L’irrompere del fattore religioso nella vita civile, la sua crescente influenza, è uno dei fatti nuovi ed evidenti del mondo di oggi. La radice di ciò è senz’altro più profonda della pure prospettata risposta al multiculturalismo, enfatizzato dai movimenti migratori. Va rintracciata, piuttosto, in un ambito che spazia dal bisogno di ridefinizione dell’identità individuale e collettiva, alla necessità di rappresentare la nuova realtà in movimento nella più vasta configurazione dell’organizzazione sociale e politica.

Esiste un percorso virtuoso attraverso cui l’etica della fede possa entrare in contatto con l’etica pubblica senza trasferire in quest’ultima sic et simpliciter i propri contenuti?

Esiste una chiave di lettura più flessibile della tradizionale separazione, per esempio attestata su una linea integrativa dei valori laici istituzionalizzati e dei valori religiosi diffusi, che possa muovere dall’attenzione al percorso intellettuale delle dottrine filosofiche e politiche nella civiltà secolarizzata, ispirata al tema della pluralità e della pluralizzazione, senza rischiare la politicizzazione delle religioni?

Michael Walzer ha percorso questa strada6. Il tradizionale muro di separazione tra politica e religione, che pure conserva il senso di un importante valore democratico, ad avviso dell’illustre politologo, va rivisto. Ed è interessante che la sua ipotesi di revisione ponga al primo punto l’esigenza di considerarlo una barriera istituzionale e non morale.

In questo senso, non v’è chi non abbia acutamente osservato7 che, quantomeno in Europa, la secolarizzazione sia stata vissuta come allentamento dai valori fondamentali, che non appartengono solamente all’impostazione conservatrice. Una serie di incertezze, come l’idea infondata che la religione sia un fatto individuale, mentre invece appartiene alla sfera dei diritti sociali della collettività, hanno posto le premesse per una fase che ha aperto le porte ad una nuova prospettiva post-secolare. Naturalmente, all’avvio di questa prospettiva hanno contribuito fenomeni come la globalizzazione, caratterizzata dalla concreta visibilità del pluralismo delle religioni, così come la crisi delle ideologie secolarizzanti, circostanze tutte che hanno amplificato la richiesta della ricerca di senso, che vede al centro di ogni dinamica l’essere umano, nella sua connotazione al medesimo tempo soggettiva e sociale. Il punto vero, secondo la richiamata impostazione8, si riassume in una domanda. Come possa essere risolto, cioè, il confronto tra l’assolutismo delle religioni e il relativismo della democrazia, regno del conflitto ma anche della composizione. A ben vedere, anche la democrazia è fatta di assoluti, ed in questo senso va accolta l’opinione di chi ha definito la democrazia stessa come etica, in quanto misura del senso e del valore del nostro agire9. Ne sono un esempio categorie come la libertà di coscienza, il rispetto della persona, l’aspirazione alla pace. Una visione nuova potrebbe orientarsi a riportare il dibattito verso gli assoluti della democrazia, nei confronti dei quali la maggioranza delle religioni tendono a sovrapporsi, con un metodo che non riconduca l’incontro alle ragioni ultime ma, come appunto argomenta Giuliano Amato10, alle ragioni penultime, terreno di possibile sintesi.



Una società centrata sulla persona


Sullo sfondo di quanto detto, tra ispirazioni religiose e visioni laiche che insieme concorrono a disegnare la centralità della persona, mi pare interessante fissare l’attenzione su due termini, per avvicinarci a temi e problemi cruciali della moderna organizzazione sociale, termini che, peraltro, si è già visto ricorrere nelle riflessioni riportate all’inizio e che paiono funzionali alle considerazioni che si intende proporre.

Mi riferisco alla parola significato e alla parola futuro.

Non manca, com’è stato efficacemente osservato, una drammatica tensione tra questi due termini, riproposti all’inizio di un nuovo millennio, dove il secondo corre sull’autostrada delle tecnologie mentre il primo arranca tra i meccanismi più lenti della cultura, dell’educazione e della formazione. Il vuoto che si viene determinando costituisce una vera e propria minaccia11.

Come in modo esemplare insegnano tanti dati della realtà, ad esempio le nuove forme di violenza giovanile, spesso non casualmente etichettate come immotivate o gratuite, o le forme di inciviltà, dovremmo preoccuparci del nesso essenziale tra bisogno di significato e percezione di futuro, dinamica cui non è estranea evidentemente l’etica che dovrebbe informare l’organizzazione sociale.

In un recente volume12, dedicato a ricercare il significato e il valore dei modelli di regolamentazione giuridica, il sistema delle regole, si descrive un paese immaginario, dove trionfano il sotterfugio, la furbizia, la forza, la disonestà, sotto l’apparenza delle leggi uguali per tutti, del rispetto per ogni diritto. In quel paese immaginario, coloro che si attengono alle leggi formali sono scavalcati ogni giorno da chi non le osserva.

Si può ipotizzare, allora, un duplice spaesamento. Quello del giovane cittadino di quel paese immaginario, così efficacemente descritto, rispetto alla mancanza di senso profondo della propria esperienza esistenziale, nonché rispetto all’interrogativo pesante, di progetto e di speranza, circa quale mondo sarà il mondo del presente fra pochi o molti anni. Quello di coloro che, nella veste di elite dirigente, nei vari segmenti dell’organizzazione sociale, portano tutta intera la responsabilità etica di fare qualcosa, attraverso i comportamenti e le decisioni che gli competono, per offrire concreti modelli di convivenza alle generazioni che verranno.

Se è vero che il problema della condotta etica non si esaurisce nel rispetto della norma, ma va ben oltre il dato formale, come non riconoscere che la legalità rappresenti anche un problema etico?

Bisogno di significato e percezione di futuro, infatti, sono parte essenziale della condotta legale. Il primo, in relazione al fondamentale riconoscimento del sentirsi parte di una Comunità, di inscrivere il proprio progetto di vita in un contenitore che preveda la propria dimensione relazionale, sul piano dei diritti e dei doveri; il secondo, con riferimento alla consapevolezza che solo attraverso un ordinato sistema di regole, ispirato alla libertà eguale, può immaginarsi di prolungare l’esperienza sociale migliorando la qualità della vita. La storia dell’organizzazione sociale e politica, d’altro canto, è storia di valori, e nello Stato di diritto la summa di tali valori trova riferimento nella Costituzione13, non a caso definita legge fondamentale, e per quanto i principi costituzionali tendano naturalmente anch’essi a storicizzarsi, alcuni di questi, come sappiamo, in particolare quelli contenuti nella prima parte del testo, rappresentano nella nostra epoca un riferimento non derogabile e non negoziabile.

Ad entrambi i bisogni dovrebbe soccorrere, in una posizione preminente, anche la responsabilità dell’elite dirigente, perché ad essa spetta trasmettere l’esperienza etica individuale con la testimonianza e promuoverla con l’educazione, la formazione e la cultura.

Uno dei fattori che, tra gli altri, minano una tale opportunità, è la frammentazione e la divisione, invece dell’unitarietà e della coesione.

C’è chi ha descritto la realtà italiana dell’ultimo scorcio di tempo come quella di una società senza conflitti14, dove il termine conflitto va inteso come positivo volano di cambiamento e di innovazione.

Alle conflittualità tradizionali, di tipo economico o sociale, che pure hanno caratterizzato la fine del secolo scorso, sembra in effetti essersi sostituita una realtà disunita, sfilacciata, articolata in una incontrollabile scomposizione di grandi e piccoli privilegi, che nella sfiducia nei meccanismi di miglioramento della condizione collettiva agiscono come freno conservativo rispetto a qualsivoglia cambiamento, talora come vera e propria forma di sopravvivenza legata all’idea del potere, anche parcellizzato o insignificante.

E’ un processo che in larga misura accomuna la c.d. società politica con larga parte della società civile, che non dovrebbe essere affrontato con lo sguardo rivolto all’entità dei privilegi o alla misura del potere, quanto, piuttosto, al degradare del contenuto etico nella dimensione della coesione sociale.

E’ intuibile che la società bloccata non resta ferma, ma arretra. E non aiutano a risolvere il problema le pur necessarie distinzioni nella scala delle responsabilità. Nel confronto tra la virtù e il disvalore, è molto più probabile che il secondo contamini la prima, piuttosto che viceversa, che la malattia frustri le motivazioni positive, estendendosi sui comportamenti di coloro che pur avrebbero avvertito come naturale percorrere un’altra strada. Come il giornalista Giorgio Bocca ebbe modo di notare commentando qualche anno fa drammatici eventi di mafia, è più probabile che Milano diventi come Palermo, e non il contrario, se non si agisce in modo appropriato. Si tratta di una metafora allarmante. Immediatamente a ridosso della società disunita, della cittadinanza violata, c’è il campo aperto per il dominio criminale. Non senza fondata preoccupazione, c’è chi ha prospettato la possibilità15, negli scenari globalizzati che si delineano, dominati da forze economiche talvolta invisibili, che i conflitti dei prossimi decenni potranno riguardare sempre più frequentemente Stato legale e poteri illegali, cioè aggregati criminali transnazionali, definiti fronti planetari del disordine, trasformati in veri motori degli equilibri instabili della geopolitica e della geoeconomia, con conseguenze di fortissimo condizionamento per il funzionamento delle democrazie, anche le più consolidate.







L’etica nella Pubblica Amministrazione


Ecco dunque che il tema della responsabilità dell’ elite dirigente assume un significato assoluto, anche perchè la presenza nel tessuto sociale di elementi strutturali potenzialmente idonei a determinare la crisi della democrazia contribuisce ad individuare una classe dirigente inadeguata16.

Carlo Mosca17, in un volume recente dedicato all’identità e all’etica della figura prefettizia, ha ben chiarito come la responsabilità connessa alle funzioni pubbliche debba in primo luogo confrontarsi con la complessità della realtà, una complessità senza precedenti, che esige una “cultura valoriale capace di sostenere le sfide della società di oggi e più ancora quella di domani…..e l’urgenza di vivere un’etica nei suoi fondamenti costitutivi, un’etica come scienza dei valori che pretende di dare un senso”.

E’ efficace utilizzare la figura e il ruolo del Prefetto, quale rappresentante di una grande istituzione pubblica, per addentrarsi nella sistematica valoriale, cogliendo, su un versante di etica professionale, caratteri che dovrebbero essere comunque parte del più vasto contenitore dell’etica pubblica.

In primo luogo l’imparzialità, concetto che in modo forte richiama la Costituzione (art. 97) e che pure va intesa nella sua accezione di indipendenza dalle partes, in quanto il perseguimento dei valori dell’ordinamento giuridico non può e non deve rifluire nella neutralità . Si tratta di un valore che, di fronte alla complessità che caratterizza la moderna organizzazione sociale, assume una rilevanza assai concreta nella prassi, e che non va confinato ad una mera enunciazione di principio. L’imparzialità costituisce, a ben vedere, lo strumento e il modello per il perseguimento dei fini d’interesse generale, di quel bene comune che dovrebbe costituire il vero faro dell’azione pubblica e che, come ricordato18, secondo S. Tommaso d’Aquino, è postulato della stessa nozione del diritto, nella misura in cui risolve con una nuova dialettica la tradizionale opposizione tra autorità e libertà che per lunghi anni ha caratterizzato i rapporti tra cittadino e Amministrazione. L’imparzialità riempie di contenuto anche il connotato di autonomia delle grandi istituzioni pubbliche, che regola pure i rapporti con il decisore, naturalmente improntati alla lealtà istituzionale e al rispetto dell’indirizzo politico.

Non a caso ci si è riferiti ai valori dell’etica pubblica come sistematica valoriale, in quanto questi costituiscono un insieme che, per essere compreso, va considerato nella sua unitarietà.

Anche il valore della libertà eguale e solidale e il valore della coesione sociale discendono infatti dalla nozione di interesse generale, così come tale interesse va desunto e di conseguenza declinato nell’interpretazione della sistematica costituzionale. Ciò significa, per il funzionario pubblico, assumere nel concreto decidere un approccio che, spogliata la formulazione di ogni rilievo retorico, ponga al centro della risoluzione dei problemi le persone e le loro condizioni di libera cittadinanza, con la mediazione di un confronto paziente e permanente che persegua la migliore compatibilità tra le diverse esigenze.

E’ stato scritto, in modo pienamente condivisibile, che “l’etica dell’intenzione è necessaria ma non sufficiente socialmente ed è quindi sopravanzata dall’etica della responsabilità che guarda ai risultati della propria azione 19. La lettura più confacente dell’etica pubblica va realizzata, in altre parole, alla luce di ciò che concretamente costituisce l’esito delle decisioni assunte.

Un focus particolare, in questo contesto, merita la questione della legalità, anch’essa caposaldo dell’etica pubblica, che si interseca con la questione della sicurezza, tema di grande rilevanza che soprattutto nel più recente periodo ha monopolizzato l’attenzione dell’opinione pubblica e che possiamo evocare come terreno di sperimentazione del nostro ragionamento.

Ci si riferisce, in particolare, non solo all’etica della legalità dei comportamenti amministrativi, ma anche all’etica del rispetto della legalità quale comportamento sociale, che va salvaguardato da coloro che sono investiti della relativa responsabilità.

Quanto al primo profilo, non si può sottacere, a fronte di cicliche controverse vicende che hanno riguardato il funzionamento dell’amministrazione pubblica, come si siano per lungo tempo fatti largo un diffuso disincanto e una generale sottocultura volti ad avvalorare la tesi – perché legalità significa conformità dei comportamenti alle leggi – che le norme servono a poco di fronte al degrado del tessuto civile. Corollario di tale impostazione è che l’educazione alla legalità, pur potenzialmente idonea ad incidere in modo profondo e radicale, sia un traguardo poco meno che utopico20.

E’ chiaro che il rispetto della legalità dei comportamenti amministrativi costituisce il primo argine, in termini di rapporto di fiducia tra il cittadino e le Istituzioni, per contenere gli effetti disastrosi del degrado del sistema delle regole, ostacolo primario alla necessaria cultura del cambiamento. Si tratta di una pre-condizione, la cui realizzazione è tesa a scardinare gli aspetti controversi della relazione tra questione amministrativa e questione della legalità, passaggio centrale dello sviluppo ordinato e civile della democrazia e della realizzazione stessa del principio democratico. Si tratta, altresì, di un concetto che va inteso nella sua ampiezza. Un’amministrazione in grado di veicolare valori non è solamente un’amministrazione efficiente, ma anche un’amministrazione che trasmette una linea di continuità in termini di storia, tradizione, valori, ruolo.

In tema di corruzione, fenomeno che costituisce il vulnus più evidente al richiamato dovere di comportamenti legali, Transparency International, organismo privato non-profit, ha classificato l’Italia al 47° posto su 159 nel mondo, secondo un criterio che calcola l’indice di corruzione percepita utilizzando interviste ad esperti e studi di settore, andamento peraltro confermato dai dati parlamentari21. Risulta evidente che il tema è di grande rilevanza, anche quale ostacolo allo sviluppo, se è vero che i Paesi più competitivi risultano essere anche i più virtuosi rispetto ai fenomeni di corruzione22, e che la risposta penale, che pure dovrebbe rappresentare l’extrema ratio, è insufficiente per un efficace contrasto al fenomeno, per quanto molto ci sia ancora da fare per migliorarne l’effettività. La correlazione tra criminalità organizzata e corruzione, peraltro, è per intuibili ragioni massima. Uno stile di amministrazione della cosa pubblica non ispirato a criteri di imparzialità e rigore nelle scelte alimenta infatti un sentimento di svalutazione del bene comune, destinato ad alterare ed inquinare il rapporto di fiducia necessario tra il cittadino e il sistema di relazioni e regole che sostengono il principio di eguaglianza, attraverso un percorso che interrompe drammaticamente il legame dell’individuo con la società, mediante una scelta di interesse individuale, inducendo il convincimento, fondato sulla sfiducia, che non sia la legge la strada migliore per far valere un giusto diritto.

Quanto al secondo profilo, forse non sono stati ancora fino in fondo percepiti, nell’opinione diffusa, gli esiti disastrosi del degrado della cultura delle regole, in termini di eguaglianza e di libertà. L’effetto della sottocultura dell’illegalità va infatti ben oltre i risultati circoscritti dell’atto illecito, per quanto in sé dannoso.

L’etica della legalità, declinata su quest’ultimo versante, impone di far rispettare la legge, mentre solamente, in frangenti delicati, può discutersi sul come il rispetto della legge, che non è derogabile, vada assicurato23. Ciò può dirsi, naturalmente, per tutti i vari e differenziati segmenti della legalità, poiché i principi dell’ordinamento costituzionale democratico devono essere considerati come un insieme coerente.

Vale, ad esempio, per le politiche di sicurezza nazionale, in relazione alle quali, pur a fronte di drammatiche emergenze, la vera sfida dei sistemi a costituzionalismo democratico, che su valori universali fondano l’etica dei propri ordinamenti, è quella di tutelare la sicurezza mantenendo alto il profilo delle libertà.

Vale, altresì, per le politiche di sicurezza pubblica e di sicurezza locale, in cui l’esercizio delle funzioni di garanzia dell’esercizio delle libertà, cui la sicurezza, anch’essa declinata sul versante dei diritti, assolve, devono tenere conto del rispetto di altri principi etici, come la salvaguardia dei diritti dell’uomo, il rifiuto di ogni intolleranza, discriminazione, xenofobia o forma di razzismo, respingendo illusorie scorciatoie e logiche da “ vite di scarto”24.

La sistematica valoriale abbraccia, com’è agevole osservare, una serie di categorie che si tengono insieme, che vanno colte con un’azione estesa e coordinata, volta al fine illuminante della piena realizzazione del principio democratico.

Esiste dunque una responsabilità dell’elite dirigente nei confronti delle nuove generazioni. Dare significato e speranza per il futuro, con la testimonianza dell’azione concreta della leale cultura delle istituzioni e con un’adeguata formazione ed educazione, indirizzata non solo ad accumulare competenze, ma anche a rintracciare etica, valori, riferimenti. Com’è stato sottolineato, tra le strade fondamentali che le politiche educative dovrebbero percorrere, c’è il consolidamento di una cultura di fiducia nelle istituzioni, promuovendo le condizioni perché si possa nutrire una ragionevole fiducia e perché le istituzioni siano in grado di attirare questa fiducia25.

Quest’ultima prospettiva, che non può che essere immaginata in un progetto innovativo di medio periodo, lungi dal rappresentare la conclusione di un dibattito destinato a svilupparsi ulteriormente, libera terreni di ricerca e di comprensione molto fecondi, nella misura in cui può costituire un mezzo, nobile e pragmatico al medesimo tempo, per porre al centro una serie di valori decisivi e non negoziabili, utili non solo a connotare una forma di Stato o di governo, per quanto fondata, come la democrazia, sul riconoscimento dell’altro nella società - come per esempio l’ampia sfera dei diritti dell’uomo - ma un ethos aperto e plurale che, in quanto fondato sulla partecipazione, coniughi l’esigenza di buone regole e di uomini buoni26, secondo una prospettiva multi identitaria che realizzi quello spirito di Comunità all’interno della quale gli uomini si manifestano nelle scelte e nei comportamenti quali cittadini integrali.


1 Vice Prefetto, Ministero dell’ Interno.

2 Dalai Lama, Il tramonto dei valori e la forza della non violenza, Tibet news, 2008

3 Prefazione al volume di Mosca C., Frammenti di identità ed etica prefettorale, Soveria Mannelli, 2006, p. 17

4 Zagrebelsky G., Imparare la democrazia, Roma, 2005, p. 35

5 Ferrara A., La religione entro i limiti della ragionevolezza, relazione al seminario “Politica e religione tra Europa e Usa”. Roma, 20-21 ottobre 2005, Centro Studi Americani.

6 Walzer M., Politica e religione tra dialogo e conflitto, Seminario “Politica e religione tra Europa e Usa”, Roma, 2005, cit.

7 Amato G., intervento al seminario “Politica e religione tra Europa e Usa”. Roma, 2005, cit.

8 Amato G., cit.

9 Ceci A., Intelligence e democrazia, Mondoperaio, n. 4/5/2007, p. 117

10 Amato G., cit.

11 Russel B., Etica della politica, Bari, 1994, citato da Ceci A., Intelligence e democrazia, cit., p.120

12 Colombo G., Sulle regole, Milano, 2008, p. 11

13 Valentini M., Cultura dell’intelligence, cultura delle istituzioni, Per Aspera ad Veritatem, n. 13/1999, p.166

14 Galli della Loggia E., L’identità italiana (intervista), Per Aspera ad Veritatem, n.17/2000, p. 780

15 Caligiuri M., Febbre alta per la democrazia, Reset, n. 98/2006

16 Caligiuri M., Febbre alta per la democrazia, cit.

17 Mosca C., Frammenti di identità ed etica prefettorale, cit, p. 215

18 Mosca C., Frammenti di identità ed etica prefettorale, cit, p. 223

19 Mosca C., Frammenti di identità ed etica prefettorale, cit, p. 222

20 Brassiolo M.T., Presidente di Transparency International Italia, www.narcomafie.it

21 Camera dei Deputati, Comitato di studio sulla prevenzione della corruzione, 1996.

22 Provera R., La corruzione come ostacolo allo sviluppo:politiche, strumenti e strategie per combatterla, Giornate per la cooperazione italiana, Roma, 2005

23 Mosca C., Frammenti di identità ed etica prefettorale, cit, p. 228

24 L’espressione, in tutto simile a quella utilizzata da Bauman Z., Vite di scarto, Bari, 2005, è di Lerner G., Rom, quelle vite di scarto che Milano non vuole, La Repubblica, 13 luglio 2005

25 Forti G., Educare alla necessità delle regole, un compito civile per le Università, atti della conferenza “La Convenzione ONU contro la corruzione: un nuovo sistema di vita” Courmayeur, 2006.

26 Gustavo Zagrebelsky, Imparare la democrazia, cit., p. 23