LE REGOLE, TUTELA E GARANZIA DEL MERCATO, DELLA SOCIETÀ E DELLA PERSONA.


di Carlo Simeone

Perché le quotazioni del petrolio salgono così vorticosamente ?, e perché lo stesso si registra anche per alcuni prodotti alimentari di base come grano e riso?

Sono domande che difficilmente riescono ad avere una risposta completa e, forse, proprio per questo ci lasciano con un profondo senso di smarrimento, alimentando ulteriori interrogativi sui quali non possiamo che allargare le braccia in segno di resa.

Di fronte a fenomeni del genere capita di frequente, allora, che i termini mercato, impresa, management, nel momento in cui sono evocati attraverso i media, richiamino concetti astratti sui quali è difficile possedere una visione concreta.

Quando si parla del mercato, o si fa riferimento ai mercati, appare veramente difficile individuarne la collocazione fisica ed anche quella geografica. Non si capisce come siano fatti e nemmeno si riesce a indovinare dove siano situati. Non si coglie un intorno e nemmeno si è capaci di intuirne, mai per intero, chi siano i soggetti che ne muovono le lunghe filiere degli interessi.

Dall’occidente al continente asiatico, attraversando anche l’altro emisfero, i mercati non conoscono limiti e confini. Guadagnano continuamente nuovi territori a cui impongono la loro legge. Si palesano in tanti modi, al distributore di benzina, nello scaffale di un supermercato qualsiasi, attraverso internet ed anche quando si fa ricorso a cure mediche.

Sui media, certi eventi con i quali si manifesta l’economia, ci vengono rappresentati con particolare virulenza e ineluttabilità, come se niente si possa fare di fronte alla loro sconvolgente progressione che travolge tutto quello che ( di debole si para davanti ).

Quando ciò accade e si protrae nel tempo, ne pagano le conseguenze milioni di persone attraverso l’erosione dei redditi; altrove, invece, nei paesi meno fortunati, aumenta la povertà e il numero di chi non riesce a portare avanti un’esistenza decorosa.

E la legge del mercato “, ci dicono gli esperti quando cerchiamo di comprendere perché una cura non viene più passata dal servizio sanitario, o quando delle persone perdono il posto di lavoro.

Di fronte a questi fenomeni, di fronte al loro progredire cinico ed ineluttabile, prevale un diffuso senso di frustrazione che fa apparire il mercato come un oggetto oscuro ed imprendibile che vive, oramai, di una propria vita autonoma in grado di autoalimentarsi senza fine.

Per le dinamiche a cui esso da vita, sembra assumere dei contorni che sfiorano la disumanità, soprattutto quando si pensa alle conseguenze delle crisi di mercato o agli scandali finanziari che hanno colpito grandi aziende.

In questi casi, sarebbe più opportuno parlare di inumanità, nel senso che il mercato e tutti i fenomeni che da esso originano, non presenta le sembianze umane, non sembra, cioè, fatto per l’uomo e per il suo benessere.

E’ strano, però, dover considerare che siano gli stessi uomini ad alimentare fenomeni del genere, di cui sembrano figurare alla fine, come le vittime predestinate.

Le attività che sono frutto del lavoro e dell’ingegno dell’uomo, come nei casi a cui si riferisce, si ritorcono contro le stesse persone e l’atteggiamento che si registra nella pubblica opinione, denota un diffuso senso di scoramento e di impotenza, che non poche volte sconfina nell’indifferenza.

Quando non siamo in grado di spiegarci un determinato avvenimento, perché non ci sembra alla nostra portata, ce ne distacchiamo assumendo un atteggiamento passivo, come se non ci riguardasse nemmeno.

Andrebbe fatta, pure, un’ulteriore considerazione, per chiedersi quali siano le vere finalità del sapere, della scienza e del pensiero umano, per comprendere perché non siano impiegati in modo diverso, in soccorso del bene comune. Pur trattandosi di una questione antica e ampiamente dibattuta e che merita tutto lo spazio che richiede, preferiamo rimandarne la trattazione per dedicarci, ora, invece, al seguito del nostro ragionamento.

In effetti, l’uomo, di fronte a determinate manifestazioni che lo colpiscono e che segnano la sua esistenza, può fare molto.

E’ questo il senso del seminario che la nostra rivista, Italiaetica, in collaborazione con la Federmanager e con il patrocino del comitato Nazionale per l’Economia e il Lavoro ( CNEL), ha organizzato lo scorso 15 maggio presso lo stesso CNEL. Le regole, tutela e garanzia del mercato, della società e della persona , è stato il tema del seminario che ha visto intervenire il Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, Antonio Catricalà, il Presidente dell’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni, Corrado Calabrò e il Presidente dell’ Autorità per l’energia elettrica e il gas, Alessandro Ortis, mentre, Massimo Mucchetti del Corriere della Sera, ne ha condotto i lavori.

Il presidente del CNEL, il prof. Antonio Marzano, ha invece aperto i lavori richiamando la responsabilità dell’uomo nel momento in cui mette in atto le proprie capacità per essere artefice del proprio divenire. Il prof. Marzano, infatti, ha chiuso il suo intervento interrogandosi in questo modo: Qual è il giusto equilibrio tra il mercato e i fini sociali da assicurare? Parlo della politica alta, intesa come tutela – e non come arbitraria compressione dei diritti – del mercato, della società e della persona.

L’uomo non può e nemmeno deve sottrarsi dal misurare le cose che lo circondano secondo le proprie esigenze, tenendo conto che il rispetto della propria dignità resta essenziale. Se ci si allontana dai principi che ne sono alla sua base scopriamo quanto sia fondamentale il comportamento di ognuno, soprattutto, quando aumentano le responsabilità e i doveri che ciascuno è chiamato ad assolvere nella società.

L’etica resta fondamentale per guidare il comportamento ( responsabilmente ) sociale di ogni individuo.

Le regole, nel contesto a cui facciamo riferimento, sono determinanti perchè danno un senso di equilibrio compiuto e dinamico allo sviluppo della società e del mercato. Tuttavia, bisogna aggiungere che l’etica attiene ad una sfera individuale che si rivolge alla coscienza di ognuno quando si tratta di praticare quei principi che attengono al rispetto della dignità umana; le regole, invece, guardano alla società nel suo insieme, per ordinarla e organizzarla.

Eppure, c’è una parte di questo mondo, compreso soprattutto all’interno di ciascun impresa, che non si vede e che possiede una forza enorme racchiusa nella capacità che ognuno ha nel dare il meglio di se.

Un Paese in cui le imprese nascono e si diffondono, conosce la prosperità e la democrazia, se la politica riesce a concepire in un quadro equilibrato il potenziale di cui dispone.

Il mercato ha bisogno di regole che vanno rispettate e fatte rispettare, in modo che la sua forza viva si traduca in sviluppo e crescita, perché la sua energia vitale non venga mortificata.

Le leggi, le regole, i comportamenti, e il loro rispetto, possono contribuire a condizionare sia nella buona, che nella cattiva sorte, questo potenziale.

Le regole costituiscono un presupposto essenziale per le società democratiche, perché attraverso i diritti e i doveri a cui ciascuno è chiamato, ordinano la convivenza sociale.

Sarebbe impensabile ritenere che un comportamento virtuoso possa essere concepito attraverso la legge. La legge può ispirarsi all’etica, ma non può imporla. Perché l’etica viene prima ed è riferibile alla condotta che ciascuno ritiene di mettere in pratica.

Anche all’interno dell’impresa vi sono delle regole che si accompagnano a delle dinamiche che assomigliano a quelle di una qualsiasi comunità.

La soddisfazione di un lavoro ben fatto, la gratificazione degli obiettivi centrati, la fiducia che si riceve e che si da, costituiscono il risultato di un processo che si basa sul rispetto di comportamenti non sempre scritti e su motivazioni racchiuse nel profondo dell’animo di ogni persona.

Abbiamo fin troppi esempi che ci hanno raffigurato la cultura d’impresa come uno spazio in cui non c’è posto per i sentimenti, dove le risorse umane sono talvolta concepite alla stessa stregua di un qualsiasi altro fattore produttivo e gli stessi consumatori vengono raffigurati come un mezzo a cui bisogna vendere ad ogni costo.

L’impresa non può limitare il suo raggio di azione alle sole leggi dell’economia e del mercato, se intende raggiungere la sua integrazione come elemento della comunità sociale che interagisce con gli altri soggetti circostanti, ma ha bisogno di adoperare un linguaggio ed un comportamento di maggiore apertura, evitando di sembrare un’entità chiusa all’interno dei propri confini.

Le aziende attraverso la loro attività se tendono ad accrescere il loro valore, costituiscono anche una preziosissima dotazione a disposizione per l’intera comunità, in termini di capitale umano, di conoscenze e di saperi.

La rapida successione delle tecnologie, caratteristica determinante dello sviluppo della nostra società, porta con se il rischio di aumentare a dismisura quella dimensione astratta dell’impresa che allontana gli individui dalle loro responsabilità e dalle loro esigenze più concrete, se non viene affiancata da un parallelo sviluppo culturale ed etico. Ricorrentemente sulla stampa e nel dibattito culturale nazionale riaffiora il tema del merito, con il quale si sottolinea quanto sia mortificante mantenere in uno stato di mediocrità l’abilità, l’intelligenza ed i mezzi comportamentali di cui disponiamo. Mettere a frutto questo patrimonio risponde ad un’opportunità che può conciliare il benessere personale con le esigenze di sviluppo dell’intera comunità, purché, non sia offesa la dignità dell’uomo.

Le virtù alle quali fa richiamo l’etica, hanno dei punti di confluenza con la cultura di impresa, laddove si fa riferimento al patrimonio umano ed alla scala dei meriti e delle capacità, che dovrebbero costituire la pietra angolare grazie alla quale la responsabilità ed il senso del dovere si accompagnano alla crescita del valore aziendale e alla diffusione dei valori.

Il merito di cui si parla tanto oggi, su cosa si basa e come si riesce ad identificarlo? Ma, soprattutto, chi lo deve riconoscere ?

Se riportiamo queste domande in un ambito più vasto, ricadiamo all’interno di una logica che lega attraverso lungo un unico filo conduttore il mercato, l’impresa, la società e la persona. Soprattutto, quando è in gioco il patrimonio racchiuso in ogni impresa, costituito dal capitale umano, dalle tecnologie e dalla dotazione in impianti e strutture, che se fatto gestire da manager senza scrupoli corre il rischio di bruciare senza alcun rimedio.

Non a caso il direttore generale della Federmanager, Giorgio Ambrogioni, nel suo intervento al seminario del CNEL, ha sottolineato che “ oggi non abbiamo una classe dirigente del Paese, ma delle classi dirigenti. Mancano valori trasversali, comuni, condivisi; manca la proposta al Paese, una proposta che si fondi sui valori che sono alla base di questa riflessione comune. C’è un problema di selezione, di formazione, di crescita di questa classe dirigente. Questa è la sfida nella sfida, un problema che abbiamo e che io avverto nel mio lavoro quotidiano. C’è ancora troppa cooptazione, non solo nella politica, ma anche nelle imprese e nelle organizzazioni “.

E’ allora il senso del dovere e la coscienza delle responsabilità che guidano la crescita delle aziende, in cui non dovrebbero avere spazio le strategie senza senso o i rischi non calcolati. E ciò vale ovunque, in ogni ambiente di lavoro, dove le persone interagiscono mettendo a frutto le proprie conoscenze e le capacità che possiedono. Come abbiamo scritto in precedenza, si tratta di far valere quei principi che sono alla base del riconoscimento della reciproca dignità: e, allora, se parliamo di merito non dobbiamo fermarci, ma occorre avere il coraggio di andare oltre, facendo riferimento all’onestà, al senso di giustizia, alla bontà, ecc.

Le regole, di conseguenza, costituiscono quella cornice di condizioni essenziali che offrono opportunità e parità di condizioni, grazie alle quali riesce ad emergere chi esprime il meglio di se.

Il riconoscimento di questa duplice chiave, vorremmo dire, è riproponibile anche quando dalle persone si passa alle attività a cui danno vita le stesse persone.

Il patrimonio posseduto da ogni impresa, pertanto, costituisce un pezzo importante di ciascuna società nazionale che proviene dalle capacità messe in atto dagli imprenditori, dal management e dai lavoratori che, tuttavia, non basta.

La regolazione del mercato, allora, assume un’importanza fondamentale, perché evitando di mortificare le capacità ed il merito, ha il dovere di esaltare le qualità in un’ottica che ispiri fiducia e affidabilità.


La necessità di mantenere un rapporto di coerenza tra il comportamento individuale e l’assolvimento dei propri doveri sociali, nell’ambito di una cornice sociale ordinata, fa da sfondo all’articolo di Marco Valentini che apre il secondo numero della rivista Italiaetica del 2008. Se lo scarto tra il comportamento individuale e il rispetto delle norme e dei doveri tende a ridursi, aumenta il grado di civiltà della società in cui viviamo. Il dott. Valentini torna a più riprese su questo ragionamento nel suo articolo, con il quale quale oppone alla deriva e alla frammentazione sociale dei nostri tempi, il comportamento etico come testimonianza che si accresce e si promuove con l’educazione, la formazione e la cultura. Secondo il filo che segue il suo ragionamento, la complessità del nostro mondo richiede una maggiore riflessione rispetto a questioni che un tempo erano più certe: la ricerca di una nuova compatibilità tra l’assolutismo dei valori religiosi e il relativismo della democrazia; la concezione di uno Stato che sia realmente moderno e nel quale si possano esercitare pienamente i diritti della persona, tenuto conto dell’evoluzione sociale e politica; la complessità dell’organizzazione sociale dello Stato che richiede un equilibrio costante tra i doveri e i diritti a cui sono chiamati i cittadini, costituiscono solo alcune esemplificazioni che presuppongono, tuttavia, una concezione della cosa pubblica all’altezza con i tempi. In questo senso l’autore rivendica alla Pubblica Amministrazione, responsabile e competente, la tutela dell’interesse generale come guida e fonte a cui riferirsi nel momento in cui bisogna affrontare le esigenze e la risoluzione dei problemi delle persone. Per dare significato e speranza al futuro, attraverso azioni concrete e la leale cultura nelle istituzioni, il dott. Valentini ritiene che un’adeguata formazione ed educazione debba essere indirizzata non solo ad accumulare competenze, ma anche a rintracciare etica, valori e riferimenti. Conclude, quindi, che tra le strade fondamentali che le politiche educative dovrebbero percorrere, c’è il consolidamento di una cultura di fiducia nelle istituzioni, promuovendo le condizioni perché si possa nutrire una ragionevole fiducia e perché le istituzioni siano in grado di attirare questa fiducia


L’articolo che segue di Giampietro Vecchiato, traccia una linea di coerenza con quello precedente soffermandosi sulla responsabilità che hanno gli uomini all’interno dell’ impresa, quando sono protagonisti degli interessi di cui sono portatori. Vecchiato pone una domanda consapevole, non retorica: il rispetto delle norme nasce da un intimo convincimento interiore o dalla paura della punizione ? Ecco, allora, che l’etica diviene un riferimento concreto, capace di ispirare il comportamento di ognuno perché è destinata a segnare lo scarto che passa tra le azioni e la morale. Pertanto, su questo piano non è possibile trincerarsi dietro a ripari di comodo. Nel suo articolo il prof. Vecchiato ricorda pure che i dirigenti delle aziende colpite da scandali finanziari hanno cercato di giustificare la loro deplorevole condotta adducendo l’obbedienza che dovevano agli ordini superiori ricevuti. Eppure, la stessa storia ci ha insegnato quali atrocità sia stato possibile commettere quando la responsabilità e la coscienza di tanti uomini hanno rinnegato il rispetto che si deve alla dignità dell’uomo. E, non a caso, Vecchiato si sofferma su un concetto dell’etica che impegna ciascuno ad interrogarsi quotidianamente sul senso delle proprie azioni.


Su quest’ultima annotazione si sviluppa l’articolo che segue dell’ing. Claudio Di Macco, a proposito della responsabilità sociale delle imprese. Secondo l’autore, un’azienda diviene una parte del patrimonio sociale quando viene gestita facendo attenzione alle ricadute che può avere per l’intera collettività circostante, che si rivelano sottoforma di ricchezza creata, di occupazione, di saperi, conoscenze e buone pratiche adottate. La società e l’economia più in generale, sono oggi chiamate con urgenza ad una “conversione”, per dare il giusto posto nella loro attività alla persona e a ciascun “portatore di interessi”: verso l’impresa stessa, i propri dipendenti, i clienti, fornitori e l’intera comunità. Chi pensa, tuttavia, che la diffusione di un simile principio sia solo compito degli addetti ai lavori è fuori strada. Secondo l’ing. Di Macco è l’intero Paese a doversene far carico favorendo l’applicazione di iniziative e di disposizioni che ne diffondano il valore. L’articolo propone anche una sintetica carrellata delle iniziative sulla responsabilità sociale d’impresa presenti nel quadro normativo dei principali Paesi occidentali.


Il senso delle proprie azioni è anche al centro dell’articolo della prof.essa Maria Martello che si sofferma sulla mediazione dei conflitti nell’ambiente di lavoro come una particolare tecnica relazionale in grado di ripristinare i rapporti interpersonali incrinati. Nell’attuale società siamo sottoposti a forme di stress che, talvolta, non siamo nemmeno capaci di percepire. Capita che si alzano i toni del linguaggio abbassando il livello del contenuto; si alimenta il culto dell’immagine e del successo, si esalta la competizione sfrenata e si osanna il più forte, la violenza, l’aggressività e la volgarità. Tutto, inoltre, sembra parlare di virtuale, di fantastico, di non vero, di illusorio e di stupefacente, confondendo realtà e apparenza. Così il nostro comportamento, i nostri linguaggi e lo stile di vita che pratichiamo, deve fare apparire sempre tutto in regola, tutto in ordine, tutto lindo e perfetto. Non c’è spazio per le difficoltà, la fatica, gli errori.

La normalità richiede che si appaia persone “ a posto ”, in sintonia con i modelli culturali prevalenti, omologati alle richieste che moda, cinema, tv e mercato insistentemente ci suggeriscono condannandoci “alla diversità”, se ci mostriamo inadeguati. La Martello ci avverte che in questo modo si nasconde il malessere e la solitudine, che ci concediamo di portare fuori solo attraverso esplosioni liberatorie di violenza, di solito gravi e irreversibili e che lasciano tutti sorpresi, quando la normalità diventa apparenza.

Secondo la Martello è possibile opporre resistenza alle derive disumanizzanti, attraverso il forte rilancio del principio etico nelle relazioni umane.




In questo senso, il principio etico come elemento fondante della dignità umana, diviene ancora più determinante quando la vita viene messa a rischio sul posto di lavoro. Il lavoro è vita e non può, invece, costituire una fonte di pericolo per i lavoratori, come purtroppo ci confermano le amare statistiche nel nostro Paese. E’ un tema difficile, che ci ricorda costantemente la sua attalità e sul quale siamo già intervenuti sulla nostra rivista. Il Prof. Marco Castellett e la d.essa Alessandra Nicchiarelli affrontano la questione della sicurezza sul lavoro proponendo una riflessione che vada oltre il semplice richiamo delle norme in materia. Le quali vanno rispettate e fatte rispettare, attraverso una serie di processi aziendali che ne rivelino tutto il valore che possiedono. Il prof. Castellett, tuttavia, suggerisce un ulteriore punto di vista che basa sulla cultura della sicurezza una nuova forma di consapevolezza. Da tutto l’ambiente lavorativo, attraverso il pieno coinvolgimento partecipativo di chiunque lavori in una determinata azienda, deve provenire un senso di responsabilità forte e profondo grazie al quale si possa sviluppare una sinergia reciproca a tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.


L’articolo che chiude questo numero, scritto dall’ing. Maria Antonietta Del Boccio, parla anch’esso della vita e della sua sacralità, affrontando il tema dell’eutanasia. Si tratta di una questione molto dibattuta, talvolta anche a sproposito, quando appare fuori luogo ogni riferimento in cui la sofferenza si identifica con il riserbo che rivendica la dignità umana, e rispetto alla quale la nostra collaboratrice propone un attento esame che passa da considerazioni tecniche e sociologiche, fino ad arrivare all’esame della realtà normativa di taluni Paesi in cui il tema dell’eutanasia è stato trattato molto. Probabilmente, la società dei consumi per autoalimentarsi e per legittimare la sua corsa senza fine, ha bisogno di aumentare nelle persone l’idea che sia sufficiente rincorrere un benessere fisico estetico per essere felici, anche se ciò confonde inesorabilmente la propria coscienza di se ed attenua il conseguente livello di sopportazione della sofferenza. Questa ed altre ancora, come propone l’autrice dell’articolo, sono le chiavi di lettura che possono aiutare a comprendere come mai l’eutanasia sia tanto dibattuta oggi.

Il progresso scientifico – come sottolinea la Del Boccio - aiuta a migliorare la vita dell’uomo: non sempre ciò avviene senza che se ne paghi un dazio. E’ necessario che l’avanzamento delle acquisizioni della scienza siano accompagnate, se non addirittura guidate, da un identica progressione culturale. Pertanto, l’ing. Del Boccio conclude che la vita non potrà mai piegarsi a concezioni utilitaristiche, dettate dal bisogno del momento, altrimenti ogni attività umana sarà soggetta ad altre ragioni, ritenute in quel momento superiori.


Ancora una volta ringraziamo i nostri lettori per la curiosità, oppure per la pazienza che hanno mostrato nel leggerci. A loro rivolgiamo sempre l’invito di collaborare con noi mediante scritti e segnalazioni.


Carlo Simeone